
Oro e vetro, parte prima.
Oro e vetro formano un matrimonio che nell’arte vetraria di Murano dura da secoli. Due materiali che a Murano si confrontano, si mischiano, danzano assieme da secoli, regalandoci pezzi di alto artigianato artistico il cui fascino trascende il tempo. Le tecniche per sposare queste due materie sono molteplici, sia freddo che a caldo. I risultati, pur diversi, continuano ad affascinare anche nei giorni nostri.
In questo post, diviso in due parti, andiamo a presentare e a spiegare in cosa consistono queste tecniche, e come il vetro colorato di Murano ne abbia giovato.
Innanzitutto, partiamo dalle basi, cioè come nasce il vetro colorato?
Il vetro colorato era già apprezzato nell’Antico Egitto, dove veniva preferito al vetro incolore molto diffuso in altre zone dell’Impero Romano.
Nei secoli diventa un fattore peculiare di riconoscimento della produzione vetraria di altri centri, tra cui spicca, già a partire dal XIV secolo, Murano, l’isola della laguna veneziana dove la Serenissima aveva trasferito tutte le sue fornaci a partire dal 1291. Per realizzare un vetro colorato venivano aggiunte alla base vetrosa (che era ottenuta dalla fusione della silice con carbonati metallici) ossidi metallici in piccole quantità. Questo tipo di colorazione veniva effettuata a caldo, in crogioli refrattari molto resistenti al calore; già allora le materie prime miscelate e fatte fondere a 1400 gradi la sera prima, venivano poi modellate la mattina seguente dai maestri vetrai (la pasta di vetro rimane duttile fino alla temperatura di 500 gradi).
A seconda del tipo di ossido utilizzato, i maestri ottenevano vari tipi di colorazioni.
Il colore più semplice da ottenere era probabilmente il bianco latteo, che derivava da un saggio utilizzo di composti contenenti dello stagno.
Il verde, invece, veniva ottenuto con ossidi di ferro che, miscelati con ossido di cromo, assumevano sfumature verde smeraldo (con l’ossido di uranio il risultato è un bel verde fosforescente). L’azzurro, un colore molto usato nella produzione muranese, veniva creato grazie a ossidi di cobalto, che, a seconda della ricettazione utilizzata, arrivavano a conferire una colorazione con sfumature tendenti al viola, nuance tra le più apprezzate e preziose.
L’altro colore tipico delle produzioni muranesi, il rosso, era invece ottenuto con il rame e mischiato ad altri metalli come zolfo, cadmio e selenio per ottenere sfumature diverse. È proprio il rosso, nella ricerca del punto di colore intenso del rubino, che a metà del ‘500 intreccia la sua storia con il colore in assoluto più brillante e prezioso: l’oro, che veniva preparato con ossidi di colloidale.
A parlarci di questa ricerca e del suo esito, il “vetro rosechiero”, un rosso trasparente ottenuto dal rame in sospensione colloidale, è Luigi Zecchin, storico e tecnico del vetro che ne ha rintracciato la prima comparsa nel 1493.
Per la creazione delle diverse colorazioni del vetro ogni fornace ha, nei secoli, sviluppato il proprio ricettario che, ancora oggi, viene gelosamente mantenuto segreto e tramandato di generazione in generazione.



Il Rosechier
Luigi Zecchin, storico e tecnico del vetro, ci parla del “vetro rosechiero” (rosso trasparente ottenuto dal rame in sospensione colloidale – non si parla ancora di oro) come nominato la prima volta nel 1493.
A parlare di questo “vetro rosechiero”, questo colore rosso trasparente che piace enormemente agli orafi principali acquirenti e utilizzatori degli smalti prodotti a Murano – è anche Benvenuto Cellini, che parla per la prima volta nel suo Trattato dell’Oreficeria di un collegamento tra oro e vetro rosso trasparente.
È certo che si parli in forma scritta del rosechiero all’oro anche nel Ricettario di Darduin nel 1644 (Darduin era un notissimo vetraio muranese che aveva deciso di raccogliere in un libro le conoscenze e le ricette del padre, maestro morto nel 1599). Darduin elenca 18 diverse composizioni per il rosechier, e tra queste ce n’è una, la più complicata, che presenta una grande novità rispetto a tutte le altre: l’utilizzo dell’oro calcinado. Deduciamo quindi che i muranesi abbiano appreso il procedimento per far lo smalto colorato in rosso all’oro in un momento imprecisato alla fine del ‘500.
La denominazione rosechier viene sostituita con la voce rubin (rubino), utilizzata ancora oggi.
Gli smalti d’oro
Lo smalto è una sostanza colorante, composta da un insieme di vetri tritati amalgamati a sostanze organiche (pigmenti), ossidi di metallo e sostanze grasse.
La “pittura a smalto” è una tecnica che si sviluppa nel ‘500 e che si diffonde velocemente tra gli artigiani, che ne sfruttano a pieno tutte le potenzialità per realizzare decorazioni anche molto elaborate per coppe, piatti e vasi. Nella storia della Serenissima questa tecnica è legata a doppio filo alla storia della lavorazione del vetro e alla creazione delle vetrate artistiche.
Lo smalto dorato, applicato a freddo e poi cotto, viene ancora abbondantemente utilizzato dai maestri vetrai per impreziosire le loro creazioni.
Specchiatura
Anche se l’invenzione dello specchio, come quella del vetro, non ebbe origine a Venezia, è vero anche che in un’isola della Laguna, a Murano, l’arte dello specchio si sviluppo e crebbe come in nessun altro posto al mondo. La specchiatura è una tecnica particolarissima, che viene tramandata da secoli dalla Famiglia Barbini. Per produrre uno specchio veneziano in vetro di Murano originale servono tempo, precisione e l’abilità di almeno quattro diverse figure specializzate, che si occupano dei vari passaggi necessari alla realizzazione di ogni pezzo, che è unico: dal progetto al taglio, dalla molatura all’incisione, fino all’argentatura e al montaggio. Ad oggi, con il procedimento dell’argentatura, si realizzano non solo specchi tradizionali o imitazioni di specchi antichi, ma anche specchi colorati, tra cui quelli dorati.
La Foglia d’oro
La produzione della foglia d’oro è un processo antichissimo che si ripete oggi con poche variazioni uguale a come era nel Rinascimento, nonostante la scoperta e l’invenzione delle nuove tecnologie.
La foglia d’oro è una lamina sottilissima di oro puro a 24 carati, che i laboratori di Murano comprano direttamente in fogli di dimensione 8×8 cm. La foglia d’oro è inserita nella maggior parte delle tecniche di lavorazione e decorazione più sfruttate dai maestri vetrai ed è fondamentale per ottenere le differenti texture che hanno reso il vetro di Murano famoso nel mondo.


Battilore
Anche la produzione della foglia d’oro è di per sé stessa un’arte, i cui segreti sono custoditi da pochissimi laboratori artigiani. Tra questi c’è lo studio di Mario Berta Battiloro, a Venezia, che porta avanti una tradizione tramandata di generazione in generazione per trasformare lingotti d’oro e masse d’ argento e di altri metalli preziosi in foglie sottilissime, adatte ad applicazioni in molteplici settori.
La sequenza di attività che trasforma la materia prima in fogli sottilissimi di pochi micron ha inizio con la fase di fusione. Questa operazione consente di portare allo stato liquido il metallo, eliminandone tutte le impurità per farlo poi solidificare nella caratteristica forma a lingotto.
Tale trasformazione del materiale è propedeutica alla successiva attività di laminatura, che lo assottiglia trasformandolo in una lamina dalla quale verranno ricavati i singoli quadrati prima che vengano usati nella fase di riempitura per essere impilati uno sull’altro, separati da apposite carte, per essere poi sottoposti alla prima battitura.
Le foglie semilavorate così ottenute, tagliate in quattro parti e riposizionate una sull’altra, vengono successivamente sottoposte ad una seconda battitura manuale effettuata dal maestro Marino Menegazzo (nella fotografia) che le porta allo spessore finale desiderato.
Nella seconda parte di questo post che uscirà fra due settimane parleremo di come la foglia d’oro venga lavorata ed inserita nella produzione del vetro, principalmente in due modalità: a caldo e a freddo.



Il verde, invece, veniva ottenuto con ossidi di ferro che, miscelati con ossido di cromo, assumevano sfumature verde smeraldo (con l’ossido di uranio il risultato è un bel verde fosforescente). L’azzurro, un colore molto usato nella produzione muranese, veniva creato grazie a ossidi di cobalto, che, a seconda della ricettazione utilizzata, arrivavano a conferire una colorazione con sfumature tendenti al viola, nuance tra le più apprezzate e preziose.
L’altro colore tipico delle produzioni muranesi, il rosso, era invece ottenuto con il rame e mischiato ad altri metalli come zolfo, cadmio e selenio per ottenere sfumature diverse. È proprio il rosso, nella ricerca del punto di colore intenso del rubino, che a metà del ‘500 intreccia la sua storia con il colore in assoluto più brillante e prezioso: l’oro, che veniva preparato con ossidi di colloidale.
A parlarci di questa ricerca e del suo esito, il “vetro rosechiero”, un rosso trasparente ottenuto dal rame in sospensione colloidale, è Luigi Zecchin, storico e tecnico del vetro che ne ha rintracciato la prima comparsa nel 1493.
Per la creazione delle diverse colorazioni del vetro ogni fornace ha, nei secoli, sviluppato il proprio ricettario che, ancora oggi, viene gelosamente mantenuto segreto e tramandato di generazione in generazione.

Il Rosechier
Luigi Zecchin, storico e tecnico del vetro, ci parla del “vetro rosechiero” (rosso trasparente ottenuto dal rame in sospensione colloidale – non si parla ancora di oro) come nominato la prima volta nel 1493.
A parlare di questo “vetro rosechiero”, questo colore rosso trasparente che piace enormemente agli orafi principali acquirenti e utilizzatori degli smalti prodotti a Murano – è anche Benvenuto Cellini, che parla per la prima volta nel suo Trattato dell’Oreficeria di un collegamento tra oro e vetro rosso trasparente.
È certo che si parli in forma scritta del rosechiero all’oro anche nel Ricettario di Darduin nel 1644 (Darduin era un notissimo vetraio muranese che aveva deciso di raccogliere in un libro le conoscenze e le ricette del padre, maestro morto nel 1599). Darduin elenca 18 diverse composizioni per il rosechier, e tra queste ce n’è una, la più complicata, che presenta una grande novità rispetto a tutte le altre: l’utilizzo dell’oro calcinado. Deduciamo quindi che i muranesi abbiano appreso il procedimento per far lo smalto colorato in rosso all’oro in un momento imprecisato alla fine del ‘500.
La denominazione rosechier viene sostituita con la voce rubin (rubino), utilizzata ancora oggi.
Gli smalti d’oro
Lo smalto è una sostanza colorante, composta da un insieme di vetri tritati amalgamati a sostanze organiche (pigmenti), ossidi di metallo e sostanze grasse.
La “pittura a smalto” è una tecnica che si sviluppa nel ‘500 e che si diffonde velocemente tra gli artigiani, che ne sfruttano a pieno tutte le potenzialità per realizzare decorazioni anche molto elaborate per coppe, piatti e vasi. Nella storia della Serenissima questa tecnica è legata a doppio filo alla storia della lavorazione del vetro e alla creazione delle vetrate artistiche.
Lo smalto dorato, applicato a freddo e poi cotto, viene ancora abbondantemente utilizzato dai maestri vetrai per impreziosire le loro creazioni.

Specchiatura
Anche se l’invenzione dello specchio, come quella del vetro, non ebbe origine a Venezia, è vero anche che in un’isola della Laguna, a Murano, l’arte dello specchio si sviluppo e crebbe come in nessun altro posto al mondo. La specchiatura è una tecnica particolarissima, che viene tramandata da secoli dalla Famiglia Barbini. Per produrre uno specchio veneziano in vetro di Murano originale servono tempo, precisione e l’abilità di almeno quattro diverse figure specializzate, che si occupano dei vari passaggi necessari alla realizzazione di ogni pezzo, che è unico: dal progetto al taglio, dalla molatura all’incisione, fino all’argentatura e al montaggio. Ad oggi, con il procedimento dell’argentatura, si realizzano non solo specchi tradizionali o imitazioni di specchi antichi, ma anche specchi colorati, tra cui quelli dorati.

La Foglia d’oro
La produzione della foglia d’oro è un processo antichissimo che si ripete oggi con poche variazioni uguale a come era nel Rinascimento, nonostante la scoperta e l’invenzione delle nuove tecnologie.
La foglia d’oro è una lamina sottilissima di oro puro a 24 carati, che i laboratori di Murano comprano direttamente in fogli di dimensione 8×8 cm. La foglia d’oro è inserita nella maggior parte delle tecniche di lavorazione e decorazione più sfruttate dai maestri vetrai ed è fondamentale per ottenere le differenti texture che hanno reso il vetro di Murano famoso nel mondo.

Battilore
Anche la produzione della foglia d’oro è di per sé stessa un’arte, i cui segreti sono custoditi da pochissimi laboratori artigiani. Tra questi c’è lo studio di Mario Berta Battiloro, a Venezia, che porta avanti una tradizione tramandata di generazione in generazione per trasformare lingotti d’oro e masse d’ argento e di altri metalli preziosi in foglie sottilissime, adatte ad applicazioni in molteplici settori.
La sequenza di attività che trasforma la materia prima in fogli sottilissimi di pochi micron ha inizio con la fase di fusione. Questa operazione consente di portare allo stato liquido il metallo, eliminandone tutte le impurità per farlo poi solidificare nella caratteristica forma a lingotto.
Tale trasformazione del materiale è propedeutica alla successiva attività di laminatura, che lo assottiglia trasformandolo in una lamina dalla quale verranno ricavati i singoli quadrati prima che vengano usati nella fase di riempitura per essere impilati uno sull’altro, separati da apposite carte, per essere poi sottoposti alla prima battitura.
Le foglie semilavorate così ottenute, tagliate in quattro parti e riposizionate una sull’altra, vengono successivamente sottoposte ad una seconda battitura manuale effettuata dal maestro Marino Menegazzo che le porta allo spessore finale desiderato.
Nella seconda parte di questo post che uscirà fra due settimane parleremo di come la foglia d’oro venga lavorata ed inserita nella produzione del vetro, principalmente in due modalità: a caldo e a freddo.