Nel 1797 cade la Repubblica di San Marco e comincia per Venezia un susseguirsi di vicende politiche che acuiscono i problemi delle industrie lagunari del vetro, per le quali si riducono le possibiità occupazionali.
Nel 1806, in seguito ai decreti napoleonici, vengono abolite le corporazioni artigianali e quindi anche quella dei vetrai non è più vincolata alle disposizioni delle magistrature tutorie contenute mella Mariegola dell’Arte.
Le fornaci di vetro comune non hanno vita facile per la concorrenza delle vetrerie di Boemia, Stiria e Carinzia, i cui prodotti, dopo il 1815, inondano i nostri meracti.
A questo si debbono aggiungere l’emigrazione dei vetrai, con conseguente diffusione dei segreti di lavorazione, e gli alti dazi che devono essere pagati sulle materie prime importate e sui prodotti da esportare.
Anche il vetro artistico tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo manifesta segni di decadenza sia a livello tecnico , sia a livello estetico, continuando, molto rozzamente, la tradizione dei vetri dipinti a smalto dei Brussa.
Ma Domenico Bussolin, nel 1938, e Pietro Bigaglia, nel 1845, riprendono la produzione del vetro filigranato con dei bellissimi tessuti dai colori vivaci e dalla grande varietà di intrecci.
Sempre a Pietro Bigaglia va ascritto il merito di aver ripreso la produzione dell'”avventurina”, mentre lorenzo Radi primeggiò nei “calcedoni”.
I primi segni di rinascita dell’artigianato muranese si avvertono, dopo la metà del secolo, quando viene fondata la fabbrica Fratelli Toso e, nel 1859, il laboratoriodi Antonio Salviati.
Costui collabora attivamente con l’abate Zanetti alla fondazione di un archivio, con annessa scuola di disegno per vetrai , nel quale si raccolgono tutti i documenti reperibili sulla storia del vetro di Murano.
Esso diverrà ben presto il Museo Vetrario, diretto dallo stesso Zanetti.
La connessione tra scuola e Museo non è casuale se si considera che spesso i modelli proposti agli allievi sono i pezzi del Museo Vetrario e che questa è l’epoca in cui l’artigianato ritiene di realizzarsi a pieno se sa riprodurre fedelmente gli oggetti antichi.
Alla fine della guerra del 1866, con l’unione del Veneto all’Italia, la situazione politica ed economica diviene favorevole alla rinascita dell’attività muranese.
E’ proprio nel 1866 che Antonio Salviati decide di ritentare la produzione e il commercio del vetro soffiato, che sembra godere di nuovo favore all’estero, soprattutto a Londra.
Uno dei problemi, tra gli altri, che i Muranesi affrontano intorno agli anni Settanta del secolo, è quello della riproduzione dei vetri a mosaico romani, lavori nei quali eccelse Vincenzo Moretti, divenuto, da allora, il creatore dei vetri “murrini” della “Compagnia di Venezia e Murano”.
L’attenzione degli artigiani muranesi viene attratta anche dai vetri paleocristiani a foglia d’oro, che vengono abilmente imitati ed esposti all’Esposizione Universale di Parigi del 1878, e dai vetri smaltati per i quali la coppa detta “Barovier”, tutt’oggi conservata al Museo, costituisce il modello principale.
Nell’ambito della tecnica volta a riprodurre nella forma e nell’effetto ceramiche di scavo vanno ricordati i vetri “Corinti” in paste opache screziate, su fondo scuro, in oro, argento o verde; i “Fenici” prodotti dalla “Compagnia di Venezia e Murano”, da “Salviati” e dalla “Fratelli Toso”,ad imitazione dei vetri a nucleo friabile preromani e, infine, i vasi vitrei a “cammeo”.
Verso gli anni Novanta stava finendo in tutta Europa l’epoca dei revivals e nascevano movimenti innovatori che propugnavano l’abbandono dei modelli storici mentre Murano continuava a produrre tipi ottocenteschi.
Solo gli Artisti Barovier avevano realizzato nel 1895, in concomitanza con la Prima Biennale di Venezia, calici leggerissimi con gambo a spirale di evidente spirito Art Nouveau.