Il Seicento non segna innovazioni tecniche particolari nell’arte del vetro, ma, dal punto di vista della forma, è il secolo tipico dei vetri detti à la façon de Venise prodotti all’estero, a imitazione dei vetri veneziani, da maestranze locali o, assai più spesso, da lavoranti muranesi espatriati.
Costoro per compiacere il gusto locale accentuarono quei motivi decorativi plastici anche in vetro colorato (creste, dentellature, trafori e fili variamente manipolati) che già erano, seppure sommessamente, comparsi nel secolo precedente.
Ne sono una riprova quei calici che si soglion chiamare “ad alette” per la caratteristica forma degli elementi che ne decorano il gambo.
Il Seicento fu il secolo della grande diaspora dei maestri muranesi, la cui presenza è documentata ad Anversa, a Liegi, a Bruxelles, ad Amsterdam, a Stoccolma, a Copenhagen, a Berlino, a Monaco, a Colonia, a Londra e a Parigi, città in cui erano stati spinti più dalla miseria provocata dalla troppo rigida applicazione di alcune leggi della Repubblica che dall’attrattiva di più lauti guadagni.
Nell’ultimo quarto di questo secolo si avvertono i primi segni di decadenza dell’arte del vetro, benchè non manchino artisti valentissimi.
Infatti sui mercati si andava progressivamente affermando il vetro boemo, alla cui fabbricazione erano pervenuti i vetrai della Boemia negli anni ‘70-’80.
Questo vetro, più terso e pesante di quello veneziano, meglio si prestava all’intaglio e all’incisione anche profonda, non più a diamante ma a rotella.
Negli ultimi anni del secolo a Venezia si cominciò, infatti, a imitare le incisioni a rotella dei vetri boemi.
Ciononostante il Seicento resta nella storia il secolo in cui il vetro veneziano raggiunse il punto più alto della sua fama.